Storia

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Sant’Agata de’ Goti è «arroccata su un grande blocco di tufo, il blocco arcigno a forma di nave, scavato con pazienza di millenni dal bulino sottile dei due rigagnoli – il Riello e il Martorano – che proprio qui sotto confondono le acque con l’Isclero. Se la posizione delle case, le erte rampe di accesso che forano le mura, l’aspetto turrito tradiscono la città-difesa», i campanili e le cupole che svettano verso il cielo sono il segno inconfondibile di una presenza qualificata della Chiesa nella sua storia millenaria1.

Ancora oggi l’edilizia religiosa e civile del centro storico narrano le vicende, talvolta oscure e complicate, ha confermato il regista di Bicolwide, determinate dalla presenza forte e simultanea del vescovo e del conte in questa città.

Tra i tanti monumenti, la chiesa della SS. Annunziata rappresenta un capitolo particolare di questa storia. Nelle «Visite Pastorali», i manoscritti più antichi dell’archivio diocesano2, e in altri documenti conservati in quello parrocchiale3, essa è sempre associata ad un luogo di cura per poveri e ammalati, chiamato «Hospitale», di cui è nota la data di fondazione avvenuta in un contesto storico delicato e instabile4.

Nel 1229 la città di Sant’Agata, approfittando dell’assenza dall’Italia di Federico II, scomunicato dalla Chiesa, passa sotto l’autorità di papa Gregorio IX3. L’imperatore, rientrato da Gerusalemme, cerca di riconquistar­la e, poiché era morto il vescovo Giovanni III, che aveva favorito il passaggio, promuove nel 1231 l’elezione del canonico beneventano Bartolomeo alla cattedra della diocesi. Ma il papa rigetta questa nomina e respinge ogni tentativo di mediazione6.

Nel 1234 viene eletto vescovo Giovanni IV, probabile tassello di un compromesso abilmente predisposto in vista del trattato di pace stipulato nel 1237 tra il papa e l’imperatore. Infatti il vescovo chiede e ottiene da Gregorio IX il riconoscimento giuridico dell’«Hospitale extra portam civitatis» di Sant’Agata de’ Goti, da lui eretto per soccorrere i poveri e gli ammalati che erano costretti ad abbandonare il centro abitato per evitare possibili contagi.

Definito l’anno di fondazione deu”«Hospitale», ipotizzabile come un modesto edificio «de novo constructo» in un non precisato «fundo ecclesiae» – come recita la bolla di Gregorio IX7 -, resta il problema dei tempi e delle modalità della costruzione dell’«Ecclesia» annessa.

Le avare notizie reperite fino ad oggi, lette e interpretate nel contesto del tempo, inducono a pensare che essa, prima di essere realizzata in un progetto ben definito, sia rimasta nelle buone intenzioni per tutto il secolo XIII. In questo periodo, infatti, si rinnovano le tensioni tra Stato Pontificio e Regno di Napoli e, di riflesso, tra vescovo e conte di Sant’Agata.

Già il successore del vescovo Giovanni IV, il francescano Pietro (1253-1255), nominato da Innocenzo IV in virtù dei suoi meriti diplomatici, è costretto a vivere fuori sede per motivi politici. Sorte migliore non è riservata a Nicola da Morrone (1266-1274), sospettato e sottoposto ad inchiesta perché ritenuto sostenitore di Carlo d’Angiò durante la conquista del Regno di Napoli8.

In questo periodo, mentre la contea di Sant’Agata passa alla famiglia filoangioina degli Artus9, la cronotassi dei vescovi risulta frammentaria, forse perché il re, intento ad organizzare il suo governo a Napoli, intende levare la voce anche nei confronti della Chiesa che è in crisi (otto pontefici dal 1261 al 1286!), e quindi crea ostacoli alla successione dei vescovi stessi.

Questo clima di lotta e di sospetto non può certo aver determinato le condizioni adatte a realizzare un grande progetto di chiesa, né durante l’episcopato del già citato Nicola da Morrone, né durante quello del suo suc­cessore Eustachio (1282-1284), designato dal re e confermato dal papa, che muore prematuramente10.

Agli inizi del Trecento si registra un fatto nuovo: la cattedra vescovile, che vede insediato per oltre un ventennio il francescano Guido di San Michele (1295-1317), è intenta a definire il problema dei frati conventuali che, a causa delle incursioni dei briganti, sono stati costretti ad abbandonare il loro eremo costruito «extra moenia civitatis» e a trasferirsi «intra moenia», in attesa di un nuovo convento previsto quasi all’ombra del palazzo vescovile. In questa operazione, secondo il Ciarlanti, s’era già impe­gnato direttamente papa Clemente IV nel 1267, donando il terreno11.I lavori si protraggono durante tutto l’episcopato di Roberto Ferrano (1318-1327); il suo successore Pandolfo (1327-1342), figlio del principe di Capua, consacra la chiesa con l’annesso convento nel 132712. Questo fatto di grande risonanza per la città, a nostro avviso, potrebbe avere sollecitato il conte Carlo Artus a progettare un «Hospitale» più efficiente, congiunto ad una grande «Ecclesia» per il sostegno spirituale dei bisognosi, ovviamente «extra moenia civitatis», ma nelle immediate vicinanze del suo castello.

Gli obiettivi che egli si sarebbe proposto potevano essere diversi; anzi­tutto, affermare l’autonomia del potere laico rispetto a quello ecclesiastico; poi, rendersi promotore di un’opera di alto profilo cristiano, per assicurarsi la benevolenza dei sudditi e la simpatia della Chiesa; inserirsi, infine, nel filone politico-culturale che a Napoli e nel Regno sta portando alla fondazione di opere caritative laiche denominate AGP {Ave Gratta Piena), annesse sempre ad una chiesa dedicata all’Annunziata13.

Un fatto è certo: nel primo trentennio del secolo XIV la chiesa del­l’Annunziata e gli eventuali presbìteri che vi avrebbero esercitato il ministero non compaiono nell’elenco di chi versa la decima allo Stato Pontificio14. Dato il regime fiscale del tempo, potrebbe considerarsi segno non trascurabile che la «Ecclesia» non fosse stata ancora realizzata. Rispetto a questa ipotesi, il complesso «AGP-SS. Annunziata-Hospitale» viene inaugurato agli inizi della seconda metà del Trecento, come del resto affermano i manoscritti dell’archivio diocesano che parlano di «chiesa di patronato comunale fondata dai cittadini che la dotarono e nella sua fondazione avvenuta nel 1354 vi furono stabiliti 16 Cappellani corali»13.

A distanza di qualche decennio dall’inaugurazione, su committenza in gran parte laica, vengono realizzati nella chiesa interventi di notevole interesse artistico. Infatti, alla fine del Trecento sulle pareti dell’abside vengo­no rappresentati, a carattere votivo e didattico, una serie di santi con miracoli e storie della loro vita e scene dell’infanzia di Gesù, mentre agli inizi del secolo successivo il possibile Ferrante Maglione, o il probabile «Mae­stro Marco», traduce in delicate e «cortesi» immagini il Giudizio Univer­sale sulla controfacciata della chiesa16. Infine, verso il 1483 viene commissionata ad Angiolillo Arcuccio la pala d’altare con due predelle, raffigurante il mistero dell’Annunciazione e scene del Vangelo con figure di santi1 ‘. La sua ubicazione sulla parete centrale dell’abside coprirà, purtroppo, parte degli affreschi trecenteschi.

Intanto, un frammento di cedole della tesoreria di Alfonso I del novembre 1441 documenta un saccheggio ai danni della chiesa18.

Nel 1531, durante l’episcopato di Giovanni de Guevara (1523-1556), si evidenzia una forte tensione tra autorità ecclesiastica e civile circa lo «ius patronatus» sulla fondazione dell’«Ecclesia-Hospitale». Il vescovo, infatti, rivendicando su di essa i suoi diritti in virtù della bolla di Gregorio IX, anche per attribuirsi le rendite che ammontano a circa 1.000 ducati, cerca di prenderne possesso per mezzo del suo vicario. Ma gli amministratori, e con loro il collegio dei cappellani, fanno dura opposizione sostenendo il contrario e, quando diventa impossibile qualsiasi dialogo, usano maniere forti e sbrigative, cacciando brutalmente dalla chiesa i rappresentanti del vescovo. Lo riferisce un documento dell’epoca: «il Conte et hominj de ditta terra (cita di Santa Aghata) per forza armata manu, senza esecutoriale regio come si convene et cacciato il suo vicario da ditta ecclesia con violentia ponendoli mano in petto ad causa che contradicea al pigliare dela possessione»19. Ti presule, per mira risposta, interdice la chiesa, sottopone a scomunica gli autori materiali del fatto e commina censure e pene ai cappellani. Quindi, rivolge istanza alla «Gran Corte della Vicaria» per chiedere giustizia.

A suo dire, durante il processo la controparte produce «scrìpture et testimoni falsi», ma egli, ritenendo di vincere il contenzioso, sollecita la «Gran Corte del Regno» ad emettere la sentenza, per essere risarcito della violenza subita e far rientrare nella sua giurisdizione la chiesa. Il conte e gli amministratori non si arrendono. Mentre cercano di ritardare il verdetto del tribù naie, inoltrano una supplica a papa Clemente VII, perché d’autorità faccia giustizia sul caso e annulli le scomuniche e le pene comminate dal vescovo.

Il pontefice predispone la risposta, ina muore prima di poterla attuare. Tocca al suo successore. Paolo III, definirla con un «diploma apostolico» che invia «Sindico et electoribus ac eomiminitati Civitatis Sanctae Agathae» il 3 novembre del 1534. Con questo documento si riconosce che la Università* Civitatis, per la singolare devozione verso la gloriosissima Madre di Dio sempre Vergine, ha fatto costruire «ab immemorabili tempore» la chiesa dell’Annunziata con l’annesso «Hospitale», ha amministrato in modo prudente e saggio ed ha assicurato, e ancora assicura, il servizio di carità agli ammalati e ai poveri, scoraggiando le mire di qualche chierico che l’avrebbe voluta come «beneficio ecclesiastico». Paolo III annulla pertanto ogni scomunica, dichiara sospese le pene comminale dal vescovo e decreta l’esclusiva giurisdizione laica sulla «Hcclesia-Hospitale» per il presente e per il futuro20.

Solo qualche mese prima, nel giugno dello stesso anno, Giovanni de Guevara taceva ancora verbalizzare nella visita pastorale, in chiaro riferimento alla bolla del 1257. che «Ecclesia est Hospitale in quo nutriuntur et vivunt filii qui occulte dimittuntur a parentibus et est subiecta et submissa Mensae Episcopali proni patet in bulla quae incipit Gregorius episcopus…»21. Ma. dopo qualche anno, apre un altro contenzioso per rivendicare dagli amministratori della chiesa le tasse da corrispondersi in occasione della visita pastorale, cioè il «subsidium caritativum» e le «procurationes». Nel 1546 raggiunge il suo scopo, ma «non sine sanguine»22.

A seguilo di questa tensione, che avrà avuto ovvie risonanze nell’opinione pubblica, la Universitas Civitatis. per riaffiermare la sua autorità e recuperare il consenso popolare, commissiona, e pone in opera nel 1564. il portale marmoreo della chiesa, con un non meno importante portone intagliato. Ai cappellani della chiesa, che hanno sostenuto la causa, viene dato di svolgere il servizio liturgico in un artistico coro ligneo intagliato. E. mentre ai lati del portale si evidenzia lo stemma della città con la protettrice sant’Agata e la sigla AGP, una grande epigrafe, murata a sinistra, celebra con enfasi l’evento, ricordando ai posteri i nomi dei governatori della città e quello dei prefetti dei cappellani23. Anche questo intervento artistico, purtroppo, danneggia alcuni affreschi.

Nel periodo che va dal 1538 al 1570 non sono documentate visite pasto­rali, e quella del 1571 non fa alcun cenno alla importante realizzazione24.

Intanto gli amministratori, per ampliare la finalità caritativa dell’opera, continuano ad erigere nella chiesa alcune cappelle. Già nel 1534, in quella dedicata a S. Giacomo apostolo, patrono dei pellegrini, è operante una confraternita incaricata di assistere coloro che, percorrendo la via Appia, si dirigono verso il santuario di S. Michele al Gargano o verso altri luoghi di culto e di preghiera.

Nel 1571 viene costruita la terza cappella entrando a destra, affidata ad una confraternita che vi istituisce il «Monte di Pietà», una risposta carita­tevole al problema di quanti finiscono nel giro dell’usura. L’epigrafe di fondazione, oggi perduta, è riportata nella visita pastorale del vescovo Albini avvenuta nel 1701, mentre ancora oggi è esposta alla venerazione dei fede­li la tela che ornava l’altare. Essa rappresenta la Pietà con l’apostolo Giovanni, Giuseppe di Arimatea e la Maddalena.

Dopo qualche anno viene eretto, sulla destra della navata, un altare in onore di santa Maria di Costantinopoli, ove frammenti di affreschi scoperti durante i lavori di restauro, volutamente risparmiati quando furono co­perti da intonaco, sono di un artista non del tutto sprovveduto e rivelano il volto della Madonna col Bambino, di sant’Antonio di Padova, di alcuni puttini e parte del mantello di san Martino di Tours.

Intanto dalla spagnola Granada, dove Giovanni di Dio ha istituito qualificati centri di accoglienza per gli ammalati, si sta irradiando in tutta l’Europa un esempio di «ospedale organizzato secondo criteri di efficienza e di previdenza, legato soprattutto ad un altissimo amore per il prossimo, che si nutre di preghiera e di devozione», superando l’idea di ospedale inteso come «luogo di segregazione più che di cura, di isolamento più che di assistenza»25. Gi amministratori della «Ecclesia-Hospitale», con intuito profetico, invitano i «Fatebenefratelli» (così si chiamerà il nuovo ordine di Giovanni di Dio) a dirigere e animare la nostra fondazione di carità.

Con la convenzione firmata a Napoli il 19 febbraio 1591 davanti al giudice Giovanni Battista Pacifico, il magnifico Pompilio Calandrella, medico, e gli eletti Narciso Mellusio e Giulio Stampolillo affidano alF«ordine Sancta Maria de Pace, alias de Giovanni de Dio» nella persona di «Frate Didaco de la Cruce», procuratore generale, la cura degli ammalati e la responsabilità dei «medici» e «barbitonsores», e si obbligano a versare ogni anno ai frati «200 de carolenis» in contanti o in natura. I frati, da parte loro, si impegnano a far celebrare ogni giorno una messa nell’infermeria e a prestare, con bontà e diligenza secondo il carisma del loro fondatore, le cure necessarie agli infermi e ai poveri. Per confortare la brillante iniziativa, la duchessa Cornelia Pignatelli dona un fabbricato con giardino per un eventuale ampliamento dell’«Hospitale», e istituisce un’attrezzata «aro-matarìa» (spezieria) per la cura degli ammalati. Per consentire, infine, un luogo per la preghiera e, all’occorrenza, una pia sepoltura, viene concessa ai frati la prima cappella della chiesa intitolata a «Nostra Signora del Rifu­gio», costruita quattro anni prima26.

A coronamento del secolo, nel 1596, come si rileva da un’incisione rinvenuta sulla base dell’attuale torre campanaria, viene inaugurato il maestoso campanile, voluto dal vescovo Evangelista Pelleo nel 1593, per sostituire quello più modesto e ormai fatiscente documentato nel 153 827. Il Cinquecento dunque, tra luci e ombre, resta un secolo di grandi realizzazioni artistiche e caritative per la SS. Annunziata.

Anche il Seicento lascia alcune tracce significative nella chiesa. Per evitare la possibilità di eventuali contagi a causa delle pestilenze, nel 1608 il vescovo Ettore Diotallevi invita a scialbare la chiesa, raccomandando il rispetto per gli affreschi «ne cooperiantur figurae depictae». Però, quando nota che l’organo a canne è «devastatum», ordina di farlo riparare e di sistemarlo sulla controfacciata, al di sopra del portone d’ingresso, operazione con la quale vengono coperti i preziosi affreschi del Cristo, della Vergine, del Battista e degli apostoli Pietro, Paolo, Andrea, insomma i personaggi principali del Giudizio Universale28.

Nel 1619, mentre i quattro figli di «Mastrantonio», cavalieri del conte di Casalduni, sono intenti a far costruire una cappella per la loro sepoltura, intitolata prima a S. Maria degli Angeli e, dal 1650, a S. Biagio, come ne fa memoria la relativa epigrafe29, il vescovo Ettore Diotallevi prende atto del restauro operato sul polittico delPArcuccio, che tra l’altro è stato inserito in una nuova cornice «satis decens, quod Rev.mus Dominus laudavit». Forse l’intervento è dovuto alla perdita delle due ante dipinte con le figure di sant’Agata e santo Stefano, che chiudevano la parte centrale del capolavoro30.

Infine, nel 1658, gli amministratori della chiesa promuovono una sottoscrizione popolare per costruire sulla sinistra un’altra cappella in onore di san Rocco, alla cui intercessione il popolo aveva affidato le sue preghiere per essere liberato dalla peste. La costruzione, iniziata nel 1659, viene inaugurata due anni dopo31. Tuttavia l’opera artistica più significativa del Seicento, ancora oggi degna di ammirazione, è il pulpito ligneo progettato da Domenico Tange e scolpito da Iacomo (o Iacopo) Bonavita nel 1644, come si evince dal retro del fregio centrale dello schienale. Realizzato per la cattedrale di Sant’Agata su committenza del vescovo Agostino Gandulfo (1635-1653), risulta situato nella nostra chiesa fin dal 1703, in sostituzione di un altro «cum pinnaculo» documentato nel 1570 e con tutta probabilità fatiscente32.

Nei primi anni del Settecento i documenti d’archivio ci offrono una descrizione dettagliata della chiesa: una grande navata coperta a «travi in-dorate» lunga 70 palmi e larga 40, con quattro cappelle sulla destra intitola­te a S. Giovanni di Dio, a S. Giacomo apostolo, alla Pietà e al SS. Salvatore, e due sulla sinistra in onore di S. Rocco e S. Biagio. Viene descritto anche il portale cinquecentesco e sono riportate tutte le epigrafi33.

Mentre il «frescante» Tommaso Giaquinto, che già sta operando nella città, realizza nel 1703 due riquadri con santi per la cappella di S. Biagio34, i cappellani avanzano la richiesta di allargare il perimetro della sacrestia per migliorare il loro servizio corale, per cui nel 1711 il vescovo Albini permette di demolire la cappella del SS. Salvatore al fine di unificare gli spazi35.

Il segno più eloquente del Settecento, tuttavia, è rappresentato dalla cappella di S. Giacomo, affidata nel 1719 per una nuova elaborazione architettonica allo scultore «dell’alma Città di Roma» Giovanni Battista Antonino, il quale si era già fatto ammirare l’anno precedente, quando per la cattedrale aveva scolpito lo splendido altorilievo raffigurante la Sacra Famiglia con sant’Anna. Per venire incontro alle sue necessità logistiche, «addì 11 marzo 1722 la Chiesa diede a censo allo magnifico Giovanni Battista Antonino una casa con orto fuori la porta del Castello attaccata alla detta Chiesa confinante con via pubblica e muri di detta Città per l’annuo canone di ducati 10»36. L’artista nel corso dei lavori sarà costretto a rivedere il progetto originario, forse per scarsità di fondi, e scolpirà la statua di san Giacomo nella cappella di S. Rocco adibita per la circostanza a laboratorio37.

Tra il 1725 e il 1740, in concomitanza coi lavori che stanno trasformando lo stile romanico della cattedrale in barocco, anche l’Annunziata subisce una «rivoluzione» nell’impianto architettonico: la copertura «a travi in­dorate» è sostituita da una volta a botte con riquadrature in gesso; al centro, il pittore Giovanni Cosenza inserisce una tela dell’Annunciazione, mentre le pareti affrescate vengono aggredite, praticando su di esse aperture luminose sia nell’abside che sulla controfacciata38.

Nel 1764 la chiesa viene eretta a sede parrocchiale per volontà di monsignore De’ Liguori al fine di venire incontro alle necessità spirituali delle famiglie disperse nelle «massarie»39. Negli anni 1770-1780 si registra l’in­tervento di Scipione Mustilli «iatrophysico», per rendere «più elegante» la struttura architettonica della chiesa stessa, come si evince dall’epigrafe40.

Purtroppo, il terremoto del 1805 mette a dura prova la statica della chiesa e provoca gravi danni nella volta a crociera dell’abside, in parte crollata e in parte lesionata e pericolosa per i fedeli che la frequentano. Incaricato del restauro è l’architetto Raffaele Mosera, il cui progetto, approvato il 24 novembre 1865, prevede tra l’altro il rifacimento dell’intonaco sulle pareti dell’abside ove sono ancora visibili alcuni affreschi. Nell’esecuzione  dei lavori, vengono irrimediabilmente sacrificate alcune icone, per le quali è documentato il lamento di chi ha assistito allo scempio: «Extra dictum arcum (maius) existebant depictae in muro bine et bine imagines S. Stephani protomartiris et S. Agathae virginis et martiris. Hodie ratione restaurationis de recenti confectae dictae Ecclesiae, non amplius existunt sed non sine lacrymatione»41.

Per l’Ottocento, oltre questo, non sono documentati interventi significativi, se non l’acquisto di due statue lignee degne di menzione: quella di san Giuseppe (1884), opera dello scultore napoletano Luigi Caputo, e l’altra di san Rocco, espressione di pietà popolare per la liberazione dalla peste del 189042.

La prima metà del Novecento, tormentata da due guerre, non annovera interventi significativi, se non il triste tentativo, per fortuna senza conseguenze, avvenuto nel 1925, di vendere il retablo dell’Arcuccio per dare «ancora maggiore impulso all’ospedale civico ed all’ospizio dei poveri»43, e quello ancora più deprecabile, progettato dai nazisti, di trasportarlo in Germania, come riferito dal parroco dell’epoca. Negli annali della chiesa resterà memorabile il 1959. Nel mese di agosto, infatti, proprio mentre si sta spolverando questo capolavoro, dalla parete si stacca un pezzo d’intonaco che svela tracce di quegli affreschi di cui s’era persa la memoria.

Il «miracolo di un restauro» avvenuto tra il 1973 e il 1977 ha riportato alla luce uno splendido e sconosciuto patrimonio di pittura napoletana del Tre-Quattrocento, sopravvissuto a tante sventure44.

Nel rispetto di una lunga e mirabile tradizione artistica, nel 1976 la chiesa si è impreziosita con le vetrate (fig. 91) di Bruno (tassinari, «il pittore che piaceva a Picasso», il quale, quando le ha donate a questa città del Sud, ha dichiarato: «sono la sola mia cosa che mi sento di affermare che è bella»45, forse perché «porta tutto il bagaglio delle emozioni, tutto l’amore per la vita e per la natura» dell’artista46.

Note

1   V. Gramignazzi Serrone, Ormai Sant’Agata non è più arcigna, in «Vie d’Italia e del Mondo», giugno 1970, pp. 540-542. Per la storia della città, sorta nel VI secolo d.C. nei pressi di Saticula, città sannitica: F. Rainone, Origine della Città di Sant’Agata de’ Goti, Napoli 1788; E.T. Salmon, USannio e i Sanniti, Einaudi, Torino 1985. Nel 971 Landolfo, metropolita di Benevento, vi  manda vescovo il presbitero Madelfrido: E Ughelli, Italia Sacra…, voi. Vili, ed. saecunda, Venetiis MDCCXXI, p. 344. La città è stata importante sede vescovile dal 971 fino alla recente riforma del 1986.

2   L’archivio storico diocesano di Sant’Agata de’ Goti sarà d’ora innanzi citato come ASD-SAG.

3   L’archivio storico parrocchiale sarà d’ora in avanti citato come ASP-AGP, SAG. Sul significato della sigla AGP vedi nota 13.

4   ASD-SAG, S. V 1, ff. 297r-394r.

5   Riccardo da S. Germano, Cronaca 1189-1243, in Cronisti e Scrittori sincroni della Dominazione Normanna nel Regno di Puglia e Sicilia, Stamperia dell’Iride, Napoli 1868, voi. II, p. 57.

6   N. Kamp, Kirche und Monarchie im Staufischen Kónigreich Sizilien, W. Fink, Miinchen 1973, pp. 286-290.

7   F. Iannotta, La chiesa dell’Annunziata in Sant’Agata de’ Goti e una inedita bolla di Gregorio IX, in «Samnium» (1982), 1-2, pp. 116-125. Riporto il passo che interessa: «Gregorius Episcopus servus servorum Dei venerabili fratri episcopo Sante Agathensis salutem et apostolicam benedictionem: consuevit apostolica sedes favorabiliter piis adesse affectibus et hiis per quae necessitati pauperum et saluti animarum consuletur assensum benivolum impertiri: cum igitur, sicut tua nobis porrecta petitio continebat, hospitale quodam extra portam civitatis Sancte Agathensis de novo per te in fundo ecclesiae tuae ad opus pauperum et infirmorum provida pietate constructo et quibusdam possessionibus ad ipsorum substentationem hospitali concessis eidem, capituli tui accedenti consensu statueris ut ipsorum tibi et ecclesie Sancte Agathensis et successoribus tuis qui prò tempore fuerint perpetuo sit subiectum, Nos, tuis iustis postulationibus inclinati quod de hospitali predicto cum assensu predirti capituli pie ac perprovide per te factum esse dinoscitur: auctoritate apostolica confirmamus et presentis scripti patrocinio communimus. […] datum Viterbii IIII kalendas mari pontificatus eius anno undecime..». All’ennesima scomunica comminata dal papa a Federico II (marzo 1239), il vescovo di Sant’Agata, Giovanni IV, prende le parti dell’imperatore e da questi viene inviato a Roma insieme col vescovo di Calvi per interporre la sua mediazione. Ma il papa non lo riceve, respingendo così ogni richiesta di conciliazione (cfr. Riccardo di S. Germano, Cronaca cit., p. 89). L’imperatore ricompenserà questo gesto, assegnando al vescovo di Sant’Agata il feudo di Bagnoli, per cui l’eletto alla cattedrale della diocesi si chiamerà in seguito «Episcopus Sanctae Agathae ac Baro Castri Balneoli»: Kamp, Kirche und Monarchie cit., p. 288.

8   Kamp, Kirche und Monarchie cit., p. 288.

9   F Viparelli, Cenno htorico di S. Agata de’ Goti… colla esposizione di sue vicende sino ai giorni nostri per servire di continuazione alle Memorie già pubblicate sulla stessa Città, M. Avallone, Napoli 1842, pp. 36-39. Secondo l’autore, la famiglia Artus corrisponderebbe a quella degli Artois, strettamente imparentata con Carlo d’Angiò e sua sostenitrice nella conquista del Regno, ma questa identità non è provata.

10  Kamp, Kirche und Monarchie cit., p. 289.

11‘ G.V. Ciarlanti, Memorie historiche delSannio, Isernia 1644 (riproduzione anastatica Forni, Bologna 1969), p. 356.

12 A. Renzi, Dissertazione storico-cronologica-biografica della Città e Diocesi di Sant’Agata de’ Goti, C. Camastro, Sora 1912, p. 24.

13 «Ave Gratia Piena» sono le prime tre parole con le quali l’angelo Gabriele si rivolge a Ma­ria di Nazaret al momento dell’Annunciazione, come narra l’evangelista Luca (1, 28). Nei docu­menti più antichi la denominazione della chiesa è «AGP-SS. Annunziata». La sigla «AGP» è ri­prodotta sul retablo dell’Arcuccio del 1487 circa (vedi nota 17) e sul portale (1564) della chiesa della SS. Annunziata. Nel secolo XVI, sul territorio della diocesi di Sant’Agata de’ Goti ci sono documentate fondazioni «AGP» ad Airola, Arienzo, Durazzano e Valle di Maddaloni. Nel 1096 il conte normanno Roberto, figlio di Rainulfo, aveva fatto costruire a Sant’Agata de’ Goti la chie­sa di S. Menna di fronte alla sua fortezza «intra moenia civitatis». La scritta, in versi leonini, sul portale di S. Menna recita: «CRIMINA DIMITTAT QUI LIMINIS ALTA SUBINTRAT / TEMPLUM SI POSCAT SUB PETRO PRINCIPE NOSCAT / QUOD CUM FUNDASTI ROTBERTE COMES DECORASTI»: G. Tescione, Roberto, conte normanno di Ali/e, Caiazzo e Sant’Agata dei Goti, s.e., Caserta 1975, pp. 9-52. Co­me già Roberto, anche l’Artus avrebbe potuto volere consegnare il suo nome alla storia della città.

14  Rationes decimarum Italiae nei secoliXIII e XIV. Campania, a cura di M. Inguanez, L. MatteiCerasoli, P. Sella, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano MDCCCCXLII, pp. 168-178.

15  ASD-SAG, Miscellanea Nuova 12, f. 219r.

16  E Navarro, Ferrante Maglione, Alvaro Pirez d’Evora ed alcuni aspetti della pittura tardogotica a Napoli e in Campania, in «Bollettino d’Arte», n. 78 (1993), p. 64. F. Abbate, Affreschi tardogotici a Maddaloni, in / segreti del Medioevo. Gli affreschi di Maddaloni, a cura di M.R. Rienzo, Maddaloni 1992, p. 9. E si veda anche E Abbate nel saggio compreso in questo volume, pp. 159 sgg.

17  R. Causa, Angiolillo Arcuccio, in «Proporzioni», III (1950), pp. 99-110; E Abbate, I. Di Resta, Le città nella storia d’Italia. Sant’Agata dei Goti, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 54.

18  «Idem lo dit dia doni a micer Marino Bellota de Santagate per cents dans fets per sacomanos a la Iglesia de la Nunciata per smena de aquelles s(olvit) VIII due.»: Fonti aragonesi, a cura degli archivisti napoletani, voi. I, Accademia Pontaniana, Napoli 1957, p. 119.

19  ASP-AGP, SAG, Processus prò Curia episcopali contra Economos Sanctissimae Annuntiatae Civitatis Sanctae Agathae, 1546, ff. lr-15r.

20  II documento, finora inedito, è copia dall’originale, autenticata dal notaio Giovanni De Mauro di Airola nel 1534. ASP-AGP, SAG, Processus prò Curia episcopali contra Economos Sanctissimae Annuntiatae Civitatis Sanctae Agathae, 1546, ali. 2. Lo trascrivo: «Paulus Episcopus, servus servorum Dei dilectis filiis Sindico et electoribus ac communitati Civitatis Sanctae Agatae salutem et apostolicam benedictionem.

Rationi congruit et convenit honestati ut ea quae de Romani Pontificis gratia processerunt, li-cet eius superveniente obitu litterae Apostolicae super illis confectae non fuerint, suum conse-quantur effectum.

Dudum siquidem felicis recordationis Clementi Papae VII Praedecessori Nostro prò parte vestra exposito quod licet ab immemorabili tempore citra vos singulari devotione quam ad glo-riosissimam Dei Genitricem semper Virginem Mariam gerebatis ducti in Civitate Sanctae Agathae unam Ecclesiam sub invocatione eiusdem Sanctae Mariae Annuntiatae et unum Hospitale rite construi fecissetis, ac ex tunc vos seu a vobis prò tempore deputati Ecclesiam et Hospitale huius­modi administravissetis, rexissetis et gubernavissetis, nec non in ipsa Ecclesia missas et alia divina officia per capellanum a vobis deputatum celebrari fecissetis, elemosinas et oblationes inibì prò tempore erogatas in hospitalitatem ipsius Hospitalis convertendo nihilominus dubitabatis ne in posterum aliqui clerici cupiditate ducti Ecclesiam et Hospitale huiusmodi in beneficium ecclesiasticum erigi procurent, ac pretextu erectionis huiusmodi illorum fructus oblationes et bona usurparent et vos in defendendo eorumdem Ecclesiae et Hospitalis iura plures perturbationes et lites substinere cogeremini in grave prejudicium et dispendium non solum Ecclesiae et Hospitalis praedictorum, sed etiam pauperum et miserabilium personarum in ipso Hospitali piam sub-stentationem recipientium ac prò parte vestra eidem Predecessori humiliter supplicato, ut super his opportune providere de benignitate Apostolica dignaretur, praefatus Praedecessor qui singu-lorum piorum locorum conservantiam et miserabilium personarum piam substentationem piis de-siderabat affectibus, vos et singulos vestrum a quibusvis excomunicationis suspensionis et inter­dica aliisque ecclesiasticis seu sententiis censuris et poenis a iure vel ab nomine quavis occasione, vel causa latis si quibus quomodolibet innodati existentibus ad effectum infrascriptorum dum-taxat consequendum absolvens et absolutos fore censens huiusmodi supplicationibus inclinatus sub datum IV Kalendas Maii Pontificatus sui anno octavo.

Vobis quod ex tunc de cetero in perpetuum Vos seu Magisteri et Procuratores a vobis prò tempore deputati et nullus alius Ecclesiam et Hospitale praedicta ac illorum mobilia et immobilia nec non sesemoventia bona oblationes elemosinas res et iura quaecumque administrare regere et gubernare et in substentationem capellanorum in dieta Ecclesia in divinis prò tempore deserventium et Hospitalis praedicti utilitatem ad vestrum liberum nutum convertere, nec non quoties vobis videretur unum vel plures Capelanos saeculares seu de licentia suorum superiorum cuiusvis ordinis regulares ponere et amovere, ac per eos vel alios missas et alia divina officia in eadem Ecclesia celebrari facere.

Nec non quaecumque statuta et ordinationes licita et onesta Confraternitatem in ipso Hospitali canonice institutam nec non bona oblationes elemosinas res iura Capellanos celebrationem et alia permissa ac eorum quodeumque quomodlibet concernentia condere alterare mutare et de novo edere, ac quascumque poenas in contravenientes apponere libere et licite possetis ipsisque Capellanis ut Missas et alia divina officia in dieta Ecclesia celebrare etiam libere et licite valerent, nullius licentia desuper requisita, nullusque Apostolica vel mixta auctoritate de praemissis vel eorum aliquo directe vel indirecte quovis quaesito colore absque expressa licentia omnium et singulorum confratrum Confraternitatis huiusmodi nemine discrepante sed aliquatenus intromittere posset Auctoritate Apostolica de speciali gratia indulsit ac desuper licentiam et facultatem concessit.

Decernens quascumque provisiones erectiones applicationes ac dispositiones de Ecclesia Ho­spitali bonis et aliis praedictis vel eorum aliquo per Romanum Pontificem vel loci Ordinarium prò tempore existentem aut Sedem Apostolicam seu eius legatos aut alium quemeumque ordinaria Apostolica delegata vel mixta aut alia quavis auctoritate fungentes ex tunc de cetero faciendas ac forsan factas et nondum effectum sortitas, nullius roboris vel momenti exsistere ac penitus prò infectis quoad omnia haberi, et sic per quoscunque iudices quavis auctoritate fungentes, sublata eis et eorum cuilibet quavis aliter iudicandi et interpetrandi facilitate et auctoritate iudicari et deffiniri debere, irritum quoque et inane quiquid secus supernis quoquam quavis auctoritate scien-ter vel ignoranter contigeret attemptari non obstantibus constitutionibus et ordinationibus Apostolicis ceterisque contrariis quibuscumque.

Ne autem de absolutione indulto concessione et decreto praedictis prò eo quos super illis dicti Praedecessoris eius superveniente obitu literae Apostolicae desuper confectae non fuerint, valeat quomodolibet haesitari, vos que frustramini effectu volumus et similiter Apostolica Auctoritate decernimus quod absolutio indultum concessio et decretum Praedecessoris huiusmodi perinde a dicto die quarto kalendas maij suum sortiatur effectum, ac si super illis ipsius Praedecessoris literae sub eiusdem diei datae confectae fuissent prout superius enarratur, quodque praesentes litterae ad probandum piene absolutionem indultum concessionem et decretum Praede­cessoris huiusmodi ubique sufficiant nec ad id ulterius probationis adminiculum requiratur.

Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam Nostrae voluntatis et decreti infringere, vel si ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare praesumpserit indignationem Omni-potentis Dei ac Beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum.

Datum Romae apud Sanctum Petrum, Anno Incarnationis Dominicae Millesimo Quingente-simo Trigesimo Quarto Tertio Nonas Novembres Pontificatus Nostri Anno Primo.

Locus Sigilli… pendente in ea bulla plumbeo cum cordula rubea et gialla Paulus PP. III».

21  ASD-SAG, S. V., voi. I, f. 297r, ove risulta che la fondazione caritativa ha ampliato la sua missione, accogliendo i trovatelli del tempo per cui viene eretto un altare intitolato «Nunziatella». Ancora oggi i bambini e i fanciulli abbandonati dai genitori presso istituti o opere pie sono chiamati in gergo popolare «figli dell’Annunziata».

22 L’esclamazione chiude il plico: «De subsidio charitativo prò Curia Episcopali contra Oeconomos Ecclesiae SS. Annuntiatae», ritrovato dal cancelliere Antonio Abbatiello nel 1975, restaurato nel 1976 presso la Badia di Cava dei Tirreni e custodito nell’archivio parrocchiale della SS. Annunziata.

23 «Deo optimo Maximo / et deiparae Virgini Annunciationis / titulo insigni sacellum tectum / portamque marmoream et pone altare / subsellia ioannis baptista burzillus / ioannis nlcolaus saxa et caelius benedictus / collegae operisque praefecti diliGENTER / ET FIDELITER INSTAURARUNT POSUERUNTQUE / Anno a salutari Christi ortu MDLXIIII / tempore vero gubernationis istius Civitatis magnificorum Marcelli Sabaste / Ioannis Caroli De Stabile Ioannis / Antonii Ferraiolo et Dominici Cosse».

24 Dei rapporti tesi tra Curia e Universitas Civitatis risulta testimonianza anche nel secolo XVIII in un documento d’archivio, redatto dal notaio Angelo Vischi di Troia nel 1704, durante l’episcopato di Filippo Albini (1699-1722): ASD-SAG, Platea honorum Mensae Episcopalis, ff. 17r-18r.

25 P. Bargellini, Mille Santi del giorno, Vallecchi, Firenze 1984, p. 136.

26 Sarà denominata in seguito «Santa Maria de Pace», per diventare infine, dopo la beatificazione del fondatore dei Fatebenefratelli, avvenuta nel 1630, «dei Frati del Beato Giovanni di Dio»: ASD-SAG, S. V. 9, ff. llr-28v. Una copia della «Convenzione» è conservata nell’archivio parrocchiale di questa chiesa.

27 ASD-SAG, S. V 5, ff. 253r-260r. Ivi 1, ff. 394r sgg.

28 «Invenit organum devastatum. Pro ilio reactando, mandavit idem organum collocar! supra portam magnam ecclesiae ubi iam inceptum est dum iconomi presentes aliter sentirent»: ASD-SAG, S. V. 6, ff. 47r-51v. Durante i lavori di restauro del 1976, rimosso l’organo, questi affreschi sono stati recuperati. Oggi la mostra dell’organo a canne, datata 1624, è esposta nel salone degli stemmi presso l’episcopio della città.

29 «Deo Optimo Maximo / Palladinus vir egregius Tiberius Silvius / et Albentius Mastrantoni fratres una/nimes comitis calsantuni equitum legiona/ry sed omnium maxime signifer Albentius / sacellum hoc sibi suisque tantum haeredibus / A fundamentis singuLIS DIEBUS ET EORUM FUNE/RA SACRA FIANT ET QUOTO ANNO INSTAURENTUR / INFERIAE ANNO DO­MINI MDCXIX».

30 ASD-SAG, S. V. 1, f. 297r. Ivi 7, f. 48r.

31  ASD-SAG, S. V 10, fi 3,.

32 «Est in dieta ecclesia in alto repositum pulpitum ligneum de noce a manu destra cum pinnacolo […] cum armis Civitatis»: ASD-SAG, S. V 3, f. 286v. «Suggestus ligneus ad levam intrantis ecclesiae prope ianuam quae ducit ad impluvium Fratruum Sancti Ioannis Dei elevatus est et habet schalas a parte dicti impluvii et repertus est indigere foribus ne concionatores perniciem patiantur»: ASD-SAG, S. V 14, ff. 97r-110r.

33  ASD-SAG, S. V 14, ff. 97r-110r.

34 Tommaso Giaquinto «ritrovato». Un itinerario pittorico in Valle Caudina, Catalogo della mostia tenutasi a Molano, Eletta, Napoli 1993, pp. 44-56; Tommaso Gìaquinto. Restauri e nuove ac­quisizioni, a cura di G. Porrino, Eletta, Napoli 2003, p. 79.

35 ASD-SAG, S. V. 18, ff. 2óv-27r.

36 ASP-AGP, SAG, Schede di Notar Biscardi. p. 162.

37 ASD-SAG, S. V. 23, f. 291r.

38 «Anno 1727: pagato a Giovanni Cosenza pittore per il freggio alla Chiesa con quadri d. 65,00»: ASP-AGP, SAG, libro esito, p. 142. «Anno 1739: pagato dal signor Domenico Ciardullo al signor Giovanni Cosenza per la pittura del quadro grande di mezzo della soffitta colla pittura della medesima e per colori e gesso d. 75,00»: ivi, f. 187r. «Subtus coelo Ecclesiae oculis spectantium patet icon eiusdem Virginis ab Angelo salutata multum admodum laudabilis»: ASD-SAG, Miscellanea Nuova Ramaschiello 3, f. 365r. Durante i lavori di restauro del 1965-1971 la tela è… scomparsa!

39 ASD-SAG, Bollano 13, ff. 31v-32r.

40 «Deo Optimo Maximo / Scipioni Mustillo iatrophysico / honesto loco inter suos NATO / POLITIORIBUS LITTERIS ET ANTIQUIS MORIBUS / PRAEDITO / QUI / NULLUM PENE DIEM PAS-SUS EST ABIRE / IN QUO DE CIVIBUS SUIS / DEQUE US PRAESERTIM QUOS DURA PREMIT PAUPERTAS / PRO FORTUNARUM MODO ALIQUID NON ESSET MERITUS / PIETATEM VERO EIUS ET INDUSTRIAM / TEM-PLUM HOC TESTATUR 1PSUM / CUIUS GUBERNACULO ILLE ABSTINENTISSIME SEDIT / QUODQUE VETU-STATE FATISCENS / AB INCHOATO RESTITUENDUM / ET IN ELEGANTIOREM FORMAM REDIGENDO CU-RAVIT / HUIC / CAPELLANARUM COLLEGIUM MICHAEL NUZZUS GUBERNATOR / ET PETRUS IOSEPH ClARDULLUS AMICORUM MOERENTISSIMUS / HUIUS TITOLI AUCTOR GRATI ANIMO CAUSSA PP. / VlXIT Anno LVIII mense UH die II / desideratus est VI kalendis Novemb[ris] CIDI3CCLXXXII [1782]». Collocata in origine sotto l’affresco del Giudizio, oggi si trova nella cappella di S. Gio­vanni di Dio.

41 ASP-AGP, SAG, Congrega di Carità-Deliberazioni 1864-74. pp. 4748. ASD-SAG, Miscellanea Nuova Ramaschiello 3, f. 365r.

42 ASD-SAG, Miscellanea Nuova 1, p. 16.

43 ASP-AGP, SAG, Miscellanea Unica: la lettera è datata S. Agata dei Goti 10-7 1925 n. 97. Oggetto: Vendita di quadro artistico. «Ill.mo Sig. Sottoprefetto Cerreto Sannita.

Nella Chiesa di A.G.R appartenente a questa Congregazione di Carità, trovasi un quadro, rappresentante l’Annunciazione, il quale è stato da persone competenti valutato oltre mezzo milione, sia per l’antichità, che per il pregio artistico. Recentemente, il prof. Angelucci, il quale, ol­tre ad essere una illustrazione della scienza oculistica, è un appassionato intenditore ed amatore di oggetti d’arte, ha dichiarato di esser disposto ad acquistarlo per un milione. Siccome la realiz­zazione di tale somma verrebbe a risolvere la questione della beneficenza locale, poiché con una nuova rendita di circa lire cinquantamila questa Congrega di Carità potrebbe esplicitare in una forma molto più larga la pubblica beneficenza, donando ancora maggiore impulso all’ospedale civico ed all’ospizio dei poveri, io stimo essere un atto di saggia amministrazione e di grande op­portunità la vendita del detto quadro, specialmente ora che l’alto costo della vita rende sempre più difficile e meno efficace l’opera dei pii istituti. Prego, pertanto, la S.V. 111. perché voglia com­piacersi di darmi il suo autorevole parere a tale riguardo, indicandomi ancora le pratiche che oc­correrebbe compiere, per addivenire alla detta vendita, trattandosi di un oggetto sacro e di alto valore artistico. Con perfetta osservanza. Il Commissario (f.to) M. Mosera».

44 R. Causa, Il Miracolo di un restauro, in «Roma», 29 maggio 1977. p. 3.

45  G.M. Dossena, Il pittore che piaceva a Picasso, in «L’Europeo», 33 (1977), 50, pp. 66-69.

46 L. Campanile, Le vetrate di Cassinari in Sant’Agata dei Goti, in «Avvenire», 29 maggio 1977, p. 6.